La malaria ieri e oggi – Rosalba Mengoni

Rosalba Mengoni*

La giornata mondiale della lotta contro la malaria è stata istituita nel 2007. Non so se la scelta del 25 aprile da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sia casuale, oppure se abbia voluto celebrare l’Italia come la nazione che è stata ed è tuttora in prima linea per la lotta al plasmodium, la prima al mondo sul cui territorio la malattia sia stata dichiarata debellata.

La febbre “intermittente” accompagna l’uomo dall’antichità: resti fossili del parassita sono stati trovati in giacimenti di oltre 30.000 anni fa. Troviamo descrizioni dei sintomi in testi mesopotamici, indiani, cinesi, egizi, greci; Erodoto parla dell’uso delle reti da parte degli egizi per salvarsi dalle zanzare, analoga strategia usavano i babilonesi: pare quindi che questi popoli attribuissero correttamente le febbri alla presenza di insetti veicolatori. Riferimenti alla malattia sono invece completamente assenti nella documentazione dei popoli amerindi prima del 1492.

La scoperta delle cause della malattia
In Italia la storia della malaria comincia intorno all’ultimo ventennio del XIX secolo: l’allarme sulla sua ampia diffusione venne a seguito dell’inchiesta Torelli sulle cause delle febbri intermittenti che colpivano i dipendenti delle FS su alcune tratte, i cui risultati portarono a un’indagine sistematica e a un disegno di legge per il risanamento delle zone a rischio. Lo stesso Torelli nel 1882 redasse una carta geografica delle zone maggiormente colpite e nel 1884 pubblicò un documento didattico destinato ad un vasto pubblico: Il curato di campagna e la malaria dell’Italia. Le conclusioni di Torelli furono confermate dall’inchiesta Iacini sulle condizioni dell’agricoltura italiana, pubblicata tra il 1881 e il 1886.

La carta redatta dal senatore Luigi Torelli nel 1882

A partire dal 1887 lo Stato avviò una seconda inchiesta e cominciò a pubblicare le statistiche relative alle cause di morte e, nello stesso periodo, prese a costituirsi una vasta letteratura medica sull’argomento. Su una popolazione di 25 milioni di abitanti, 11 erano costantemente a rischio per le condizioni igienico-sanitarie dei luoghi abitati, almeno 2 milioni contraevano il morbo e 15.000 all’anno morivano.
Le teorie del “miasma” e della “mal’aria” vennero abbandonate negli anni ’80, dopo la scoperta in Algeria, da parte del medico militare Alphonse Leveran, della presenza di un organismo vivente nel sangue dei malati, ma Leveran non riuscì a comprendere gli stadi di vita del parassita né la sua provenienza. Gli sviluppi successivi avvennero grazie ad un gruppo di studiosi italiani: Angelo Celli, Camillo Golgi, Ettore Marchiafava, Amico Bignami, Giuseppe Bastianelli e Giovanni Battista Grassi, che si trovarono a lavorare nell’università di Roma, posizionata nei pressi delle Paludi Pontine e dell’Agro Romano, due delle zone più famose per la malaria.
Marchiafava e Celli provarono che il plasmodium era causa e non conseguenza della malattia, mentre Golgi dimostrò che in Italia ne esistevano diversi tipi: il vivax, il falciparum e il malariae, e la corrispondenza della ciclicità della vita del parassita e gli accessi febbrili. Nel 1898 venne fondata la Società Italiana di Malariologia che promuoveva la ricerca e che contribuì alla creazione di un programma antimalarico nazionale; nello stesso anno Giovanni Battista Grassi descrisse le modalità di trasmissione del morbo, attraverso le femmine di alcune specie di anofele.

Gruppo di medici (Fonte: www.iss.it)

La legislazione e le prime campagne antimalariche
Le scoperte diedero un nuovo scopo alla legislazione sulle bonifiche avviata dopo l’Unità: non più il solo risanamento idrogeologico, ma una lotta integrata, con interventi sull’uomo, sulla salubrità delle abitazioni e sugli orari di lavoro per ridurre i rischi connessi alla presenza della zanzara.
Dal 1873, si era cominciato ad impiantare delle stazioni sanitarie dove veniva fornito il chinino, la sola cura conosciuta sin dal XVII secolo, ma la consapevolezza che la conoscenza della malattia e di un minimo di norme igieniche sarebbero state indispensabili nella lotta alla malaria, portò Angelo Celli e la moglie Anna Fraentzel, una delle poche mediche italiane, ad avviare nell’Agro Romano un progetto di scuole rurali, a cui prese parte anche Sibilla Aleramo. Scuole contadine vennero aperte in tutta Italia e Anna Fraentzel ne ebbe la direzione fino al 1919, riuscendo ad ottenere anche dei contributi dai Ministeri della sanità e della Pubblica Istruzione. I docenti venivano spinti a vivere sul luogo di lavoro, in modo da acquisire la fiducia delle comunità, e la rivista settimanale “Il Corriere delle maestre” forniva le linee guida dei programmi didattici che riguardavano argomenti disparati: agronomia, igiene, educazione civica, geografia, ecc.

Angelo Celli e Anna Fraentzel

La questione della malaria come problema sociale e non solo sanitario, era intanto messa in evidenza da Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti, che si resero conto del costo della malattia in termini economici e di produzione.
Nelle risaie le femministe socialiste riuscirono a far confluire in un unico movimento la questione sociale, la condizione delle donne e la lotta alla malaria. Una delle prime organizzatrici del movimento delle mondine, la segretaria della Federterra Argentina Altobelli, intervenne nella discussione sulla profilassi della malaria, dichiarandosi favorevole all’uso preventivo del chinino ed ottenendo il sostegno della Federazione nazionale dei lavoratori agricoli.

L’impegno della classe dirigente all’inizio del XX secolo aveva portato a risultati positivi perché le norme sanitarie e di bonifica fecero diminuire la mortalità malarica del 90% – le morti passarono dalle 16.000 del 1900 a 2.400 nel 1914; ma lo scoppio della Grande guerra vanificò i successi ottenuti nei quindici anni precedenti: distruzione delle opere realizzate, riduzione dei finanziamenti, rallentamento o cessazione della distribuzione del chinino. Nel 1915 si scatenò un’epidemia violenta che imperversò fino al 1918 per regredire ai livelli del 1914 soltanto nel 1923.

Una “profilassatrice”
(Fonte: www.biblioteca.asmn.re.it)

Il primo dopoguerra e il ventennio fascista
I decreti del dopoguerra cominciano a trasferire al ministero i problemi della bonifica, tendenza che proseguirà in epoca fascista. Il Testo Unico delle leggi sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi del 1923, che introdusse nuove norme finalizzate a garantire l’efficacia antimalarica degli interventi, fu la base su cui si realizzarono le bonifiche durante il primo decennio del fascismo. Con il Regio Decreto n. 215 del 1933, organico e profondamente innovativo, venne introdotto il concetto di “bonifica integrale”, che informerà tutta la politica del regime costituendo di fatto una guerra su un fronte interno.
Il programma prevedeva una lotta alla malaria combattuta su tre fronti: la bonifica idraulica, la bonifica agricola e la bonifica igienica. Prosciugamento delle paludi malariche, controllo del regime delle acque, eliminazione dei focolai di anofele con larvicidi, come il piretro, il petrolio e il Verde di Parigi, introduzione della Gambusia affinis, pesce d’acqua dolce che si nutre di larve, nei canali di irrigazione e negli acquitrini. Contro la zanzara adulta si fumigavano fiori di piretro e radici di crisantemo e, come regolatori naturali, si usavano pipistrelli allevati nei “pipistrellai”, torri di legno o di cemento alte sino a 15 metri. A questi si univano sistemi di protezione dei coloni già impiegati in epoca giolittiana: la profilassi e la cura con il chinino, la protezione delle case con retine metalliche.

Trattamento larvicida a mano
(Fonte: Liceo Asproni, Iglesias)

Fatto poco noto nella storia della malaria, riportato dallo storico Frank M. Snowden in “La conquista della malaria”, sono gli esperimenti condotti dal 1925 da alcuni malariologi fascisti, che sospesero la somministrazione del chinino lasciando i lavoratori all’aperto negli orari del tramonto e dell’alba. L’esperimento coinvolse 2000 lavoratori in Puglia e in Toscana, divisi in due gruppi: a uno veniva somministrato mercurio, l’altro gruppo era di controllo senza alcuna profilassi.
Il programma di espansione imperialista tolse fondi alla campagna antimalarica, che si interruppe con l’entrata in guerra dell’Italia. Durante la ritirata nel 1944, i tedeschi misero in atto la prima guerra biologica d’Europa distruggendo le opere di bonifica e allagando i terreni della Pianura Pontina e del litorale dell’Agro Romano.

Il secondo dopoguerra e la sconfitta dell’anofele in Italia
La fine della guerra vide la riapertura della lotta antimalarica: forti delle competenze acquisite, gli ufficiali sanitari riuscirono a riaprire le strutture sanitare e mettere subito in atto le strategie già sperimentate. Figura di primo piano nella sconfitta della malaria fu Alberto Missiroli, fondatore con Gosio della Scuola di malariologia a Nettuno nel 1918, lavorò fino al secondo dopoguerra con il sostegno dei governi e della Rockfeller Foundation. Nel 1925 fondò e diresse, con Lewis Hackett, la Stazione Sperimentale per la lotta antimalarica della Fondazione stessa che, nel 1928, gli fornì anche il sostegno economico per la realizzazione dell’Istituto di Sanità Pubblica (dal 1941 Istituto Superiore di Sanità). Nel 1946 partecipò alla creazione dell’ERLAAS – Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna. Grande fautore del DDT, per la velocità con cui questo debellava le larve, diede il supporto agli statunitensi della Fondazione Rockfeller, soprattutto dopo la sperimentazione avvenuta a Napoli contro i pidocchi, senza alcuna preoccupazione per i danni che il DDT avrebbe potuto arrecare alla salute della popolazione. In Sardegna, in particolare, si sviluppò una zanzara resistente al DDT.

La malaria oggi
Sin dal 1900 la classe dirigente italiana aveva compreso che le armi della lotta alla malaria andavano ben oltre le metodologie per distruggere l’anofele, le sue larve e il plasmodium, rendendo imprescindibile l’unione tra le bonifiche e i sistemi meccanici con il miglioramento delle condizioni di vita da tutti i punti di vista: igienico, sanitario, alimentare, scolastico.

Mortalità per malaria in Italia dal 1887 al 1950 (Coluzzi, 1961)

Il World Malarian Report dell’OMS relativo al 2017 stima in circa 219 milioni i casi nel mondo, con circa 435.000 decessi. I dati del periodo 2015-2017 mostrano un arresto dei progressi in termini di riduzione di impatto della malattia rispetto al 2010.
La Roll Back Malaria è stata varata nel 1998 con una partnership tra governi, organizzazioni internazionali, istituzioni di ricerca, fondazioni, Ong e privati, ma nella sua attività ha sempre sofferto della mancanza di fondi. Nel 2008 ha elaborato il Global Malaria Action Plan, un programma di eradicamento della malaria entro il 2010, per cui ha previsto la necessità, entro il 2010, di:
• più di 700 milioni di zanzariere trattate con insetticidi
• più di 200 milioni di dosi di farmaci per il trattamento della malattia
• spray insetticidi per circa 200 milioni di case ogni anno.
Con un impegno economico pari a:
• 5,3 miliardi di dollari per il 2009
• 6,2 miliardi di dollari per il 2010
• 5 miliardi di dollari all’anno dal 2011 al 2020
• circa un miliardo di dollari all’anno per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecniche di prevenzione e di trattamento.

Niente di nuovo, considerati i dati del 2017, per Global Technical Strategy (Gts) for Malaria 2016-2030 varato nel 2015 con gli obiettivi di: ridurre l’incidenza e i tassi di mortalità di almeno il 90%, eliminare la malattia in almeno 35 Paesi, e prevenirne la reintroduzioni in tutti quelli dichiarati liberi dalla malaria.

Le nuove frontiere
A seguito del lavoro della ricercatrice cinese Youyou Tu, premio Nobel per la medicina nel 2015, la scoperta che l’artemisina è in grado di eliminare il plasmodio dal sangue, ha dato il via all’utilizzo della pianta soprattutto in oriente, mentre la Fondazione Internazionale Medici per l’Africa Centrale nel 2006 ha dato vita al Progetto Artemisia, partendo dal Burundi con la sperimentazione della coltivazione della pianta e la diffusione delle norme sanitarie.

*Collaboratrice tecnica del Cnr-Isem (Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea)

L'articolo è stato originariamente pubblicato sul blog Vitamine vaganti, a questo link, il 25 aprile 2020 , 

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